26 Aprile 2024 00:17

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La mia Valtellina, un montanaro in Africa

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Luca MaginiCome sapete ci piace approfondire il tema del turismo a 360°, non solo elencandovi quello che ci sembra meritevole, eventi in programma o notizie che interessano i turisti.
VTM nasce anche con lo scopo di sensibilizzare sui temi più dibattuti in provincia di Sondrio quando si parla di turismo, dei suoi problemi e prospettive.
Secondo noi un modo per farlo è confrontarsi e far parlare anche chi ha lasciato la Valtellina e ha avuto l’opportunità di viaggiare molto e può darci un’opinione, con sensazioni da turista, anche per capire dove dovremmo investire per migliorare la nostra appetibilità sul mercato.
Oggi abbiamo avuto il piacere di raccogliere la testimonianza, e anche qualche affondo sulla nostra terra, non filtrato, come si usa in un blog libero da condizionamenti, da Luca Magini, geologo di 39 anni che la lasciato la valle “perché la vita ha voluto così”, e con esperienze di successo in diversi paesi africani, e che abbiamo trovato in Angola, dove lavora per Total E&P “seguendo la perforazione dei pozzi con le foto della mia Valtellina come desk background”.
Girando il mondo e confrontandosi con sistemi turistici così diversi tra loro che opinione si è fatto della Valtellina turistica?
Un grande potenziale, non adeguatamente sfruttato. Ci si accontenta e lamenta troppo, a causa principalmente del management, dell’eccessivo campanilismo e della mancanza di una rete stradale veloce.
Mi ricordo ad esempio un’intervista di qualche anno fa a Radio 24 per i Mondiali di sci di Bormio, alla domanda “avete venduto pochi biglietti, non pensate che molte persone siano scoraggiate dalle difficoltà di raggiungere Bormio”, si rispose seccati “che non era vero e che a Milano il traffico era pure peggio”. Ora, quando torno in Italia, spesso sono scoraggiato dal traffico per venire in Valtellina. Del resto se il turista è immerso già nel traffico tutta la settimana nel weekend preferisce andare in località più facili da raggiungere, nonostante siano più lontane.
Il campanilismo resta un male cronico, non solo valtellinese, che penso non si potrà mai risolvere. Sento dire “sono stato a Livigno, Bormio, Valmalenco, Aprica, Teglio, Valchiavenna”, ma difficilmente sento “sono stato in Valtellina”. Mi sembra assurdo, data la scarsità di risorse disponibili, non investire in un unico progetto pubblicitario e brand “Valtellina”, per poi diversificare a seconda delle esigenze del turista. Ad esempio in Trentino si dice “vado in in Trentino sulle Dolomiti”. Ma chi va a dire alle varie realtà locali, che prima di tutto sono valtellinesi, ti riderebbero in faccia, “siamo alta e bassa valle, siamo un’altra valle”.
Cosa l’ha colpita di più fuori provincia parlando della provincia di Sondrio?
Sono rimasto stupito di quante persone conoscano i pizzoccheri e li associno alla Valtellina. Mi sono reso conto, andandomene dalla valle, del potenziale culinario che abbiamo, della Valtellina intera e non elencando tutti i paesini che fanno il loro prodotto tipico.
Quando mi chiedono dove andare in Valtellina, se non cito le solite Bormio e Livigno, ma descrivo altre valli, magari con Google Heart, il 99% delle persone non le ha mai sentite nominare.
Poi ci sonio i casi dove l’impegno per migliorare non trovano riscontro adeguato. Cito Teglio, dove un non valtellinese, ma acquisito tellino, si sta impegnando per rilanciare gli impianti di sci, senza trovare secondo me l’appoggio che si merita, anche se in molti potrebbero trarre giovamento indiretto dal progetto, anche per cercare di abbandonare il turismo da seconda casa, che è stato redditivo in passato, nella logica del tutto e subito.
Lei pensa che le nuove generazioni che restano in valle a lavorare possano contribuire a migliorare il prodotto turistico?
Mi piacerebbe vedere crescere una generazione giovane che sia in grado di organizzarsi da sola, che non si lamenta della mancanza di fondi esterni, con il coraggio di arrabbiarsi quando serve con gli amministratori locali, che faccia gruppo per promuovere le peculiarità valtellinesi, investendo nell’innovazione, per offrire un servizio ed accoglienza turistica migliori, che lo faccia sentire un montanaro diverso dagli altri montanari.
Però, nonostante tutto, siamo sempre una meta turistica affollata ed apprezzata.
Spesso i miei amici mi prendono in giro per l’accento tipico, per la cucina pesante, ma alla fine adorano la semplicità e il modo di vivere dei valtellinesi. Il turista non è attratto solo dalla Valtellina, ma anche dai valtellinesi, però è terrorizzato dal traffico.

Curriculum Luca Magini
Geologo, 39 anni, mi sono diplomato all’ITG di Sondrio e non volevo abbandonare la mia Valtellina, perché, come tutti i montanari, ero radicato nella mia terra, nella quale ora, quando ritorno, non riesco più a sentirmi a mio agio, anzi, mi sento e vengo visto, spesso, come un estraneo.
I miei genitori mi spinsero a fare l’università e scelsi quello che si diceva essere una facoltà facile: geologia. La fortuna volle che entrai in uno storico collegio universitario di Pavia dove la goliardia mi permise di fare amicizia con ragazzi di diverse regioni, anche del sud Italia, e di entrare in contatto con studenti stranieri che sapevano ovviamente due lingue, mentre io ero solo riuscito a prendere esami di riparazione estivi. Per non perdermi questo nuovo mondo studiai per mantenere il collegio, laureandomi in corso.
Bollato come laureato disoccupato, sfruttai il servizio di leva per guadagnare qualche soldo ed esaudire il sogno, che avevo fin da bambino, di fare il servizio militare. Corso ufficiale di complemento di sette mesi e poi destinato al reparto dove nessuno voleva andare: Gorizia proiezioni estere. Conferma biennale e missione di peacekeeping in Bosnia Herzegovina, che mi ha fatto capire che per avere un riscatto sociale e fare esperienza si doveva andare all’estero, conoscere l’inglese, che nessuno ti regala nulla e quello che ottieni te lo devi guadagnare. Di ritorno dalla Bosnia e in preparazione per la partenza in Iraq ho avuto la fortuna inaspettata di essere assunto dall’ENI.
Due anni di sofferenza in Italia e poi finalmente all’estero per quattro anni in Egitto, due in piattaforma/deserto e altri due a Il Cairo, città della quale conservo bellissimi ricordi. Da qui fui assegnato a un master interno di un anno in Italia. Mi aspettavo un salto di carriera, ma purtroppo le mie illusioni si infransero in dodici mesi di sofferenza assoluta, vissuta all’interno di una società nella quale non mi riconoscevo. Ero talmente disperato che accettai prima una breve missione in Congo e poi una assegnazione come residente in Ghana. Ma un continuo scontro (da buon testone valtellinese) contro con un sistema geriatrico/gerarchiale della società mi spinse a cercare lavoro presso una società non italiana, nonostante sapessi che avrei abbandonato un lavoro sicuro in Italia e una famiglia che non mi poteva seguire all’estero.
Fu una scelta non facile, penso presa fin troppo d’istinto. Pensavo che sapere l’inglese fosse sufficiente, ma gli angolani parlano solo il portoghese e i francesi preferiscono parlare in francese, insomma un trauma. Il primo giorno in Angola, appena atterrato in aeroporto, mi accorsi che l’inglese non mi avrebbe aiutato molto. Arrivato in ufficio, subito il primo meeting in francese e pensai di non durare molto e che mi avrebbero cacciato.
Invece dopo due anni mi trovo ancora felicemente in Angola, lavoro per Total E&P seguendo la perforazione dei pozzi, ma con le foto della mia Valtellina come desk background.

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