29 Marzo 2024 13:43

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La Valmalenco è ricca di tesori nascosti

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Fuor di metafora e al di là dei più banali slogan pubblicitari, mai come in questo caso si può a ragione sostenere quanta ricchezza la Valmalenco abbia ancora da offrire all’occhio attento e sensibile di chi non dà nulla per scontato, e si lascia interpellare dai molteplici segni del passato, tracce che rimandano ad un’antichità davvero sconosciuta tra queste montagne.

Può essere il ritrovamento di un antico documento, di una data incisa sull’architrave di una casa ormai diroccata, oppure un segno di devozione dipinto su un muro nascosto, lontano alla vista, che ha visto nei secoli continui e molteplici riutilizzi, quasi fino ad esserne del tutto cancellato.
Com’è il caso del ritrovamento delle straordinarie Madonne in trono di Lanzada, due dipinti tardo medioevali recentemente riportati alla luce ed ora meglio visibili grazie ad un intervento di restauro conservativo da poco terminato.

LE CALCHÈRE DELLA VALMALENCO

La prima si trova quasi nascosta sulla buia parete della trùna situata sotto il muro della piazza della chiesa parrocchiale. Si tratta di una Madonna seduta in trono ritratta di fronte, con il Gesù Bambino appoggiato sul suo ginocchio. Il volto della Madonna è delicato e dai lineamenti morbidi, incorniciato dai capelli che scendono sino alle spalle. Sul capo reca una ricca corona gemmata.

La seconda Maestà si trova sul fronte orientale di un edificio dell’antico nucleo di Vetto. Benché molto degradato dall’esposizione agli agenti atmosferici, il dipinto è testimone di una devozione di raffinata esecuzione e di padronanza della tecnica pittorica. La Madonna, con una corona gemmata sul capo, regge in braccio il Bambino, seduta su un trono di forma squadrata con spalliera terminante con due elementi circolari. A lato della Madonna un Santo in posizione eretta e frontale completa la raffigurazione.

UN ANGOLO POCO CONOSCIUTO DI LANZADA

Entrambe le immagini votive, sono da inserire in un contesto storico alquanto ristretto e sono raffrontabili, secondo Giorgio Baruta che ne ha curato l’intervento di restauro conservativo, a quello di Cà Bianchi a Torre di S. Maria, datato 1496.

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